60 ANNI FA A ZERO EMISSIONI

Eravamo sostenibili quando abbiamo iniziato a inquinare

La questione sulla realizzazione dell’ovovia ha riacceso da parte dell’opinione pubblica triestina il tema della mobilità sostenibile. Chi ha qualche anno d’età sicuramente si ricorderà che a Trieste ci si muoveva non soltanto in autobus e soprattutto in automobile, ma anche con due mezzi di trasporto non più esistenti: il tram e la filovia. Sessanta anni fa, il nostro sistema di trasporto pubblico era costituito da 25 linee di cui la maggior parte esercitate da questi due veicoli che hanno la caratteristica di essere totalmente elettrici e silenziosi. Capirete quindi che l’impatto ambientale sulla città era nettamente inferiore rispetto ad oggi, senza contare anche la quantità di automobili, anch’esse fonte di inquinamento, presenti nel 1963 solo a Trieste. Ma visti tutti i problemi odierni legati alla crisi ambientale, perché abbiamo dismesso questi mezzi di trasporto non inquinanti? La risposta è di carattere storico ed economico e per comprenderla è necessario analizzare il periodo degli anni ’60, un capitolo della nostra storia contemporanea ricordato come gli anni del “boom economico”. Questo è stato un decennio di ripresa economica, di consumo e benessere collettivo dove gli italiani soddisfavano tutti i loro bisogni, sperimentandone anche dei nuovi, tra cui lo spostarsi in totale autonomia per mezzo di veicoli propri come le automobili che in quel periodo si stavano diffondendo sempre di più, provocando un forte calo nell’utilizzo dei mezzi pubblici. Giusto per rendere l’idea, nel 1963 l’azienda dei trasporti, l’A.C.E.G.AT., aveva trasportato a bordo dei propri mezzi 84.942.060 di passeggeri e nel 1969 64.819.723, con un calo del 23% in neanche un decennio; questo aveva provocato una crisi all’interno del settore che aveva visto i suoi utenti scegliere altri modi per spostarsi provocando un diminuimento delle entrate aziendali, che dipendevano anche delle vendite dei biglietti. Risulta che l’A.C.E.G.AT. nel 1966 avesse il bilancio in passivo di circa 2 miliardi di Lire e che ciò avesse portato a compiere, per risanare la perdita, delle scelte oggi impensabili, ossia di investire sul mezzo di trasporto più economico anche se questo avrebbe comportato conseguenze, dal punto di vista ambientale, tutt’altro che benefiche. Si decise quindi, di sopprimere le linee tranviarie e filoviarie, sostituendole con autobus a gasolio. A difesa di questa decisione c’è solo il fatto che negli anni ‘60 i problemi legati all’inquinamento ed alla crisi climatica, che sarebbero stati una ragione per mantenere tram e filobus, non erano evidenti e reclamizzati quanto oggi, e che nessuno avrebbe potuto mai immaginare le conseguenze, in termini ambientali, per la nostra città. La soppressione delle linee tranviarie e filoviarie ha avuto atto progressivamente negli anni ’60 e ’70, dove si è passati da avere 10 linee filoviarie e 4 tranviarie, nel 1963, a 6 filovie e nessun tram, nel 1970, per poi concludere questo processo in favore all’autobus ed al cosiddetto “progresso” nel 1975, quando tutta la rete di trasporto pubblico era esercitata solo ed unicamente da autoveicoli. Da allora fino ad oggi nulla è cambiato. Gli abitanti di Trieste se non usano l’auto per spostarsi usano l’autobus e tutto ciò non fa altro che aumentare le emissioni cancerogene che danneggiano la qualità della vita per i Triestini. Nonostante tutto c’è una speranza: in questo ultimo periodo siamo di fronte ad un’inversione di tendenza sulle politiche di mobilità cittadina, che vedono nelle soluzioni del passato una buona risposta per il nostro futuro. Molte città italiane ed europee stanno via via ripristinando il tram e la filovia nei loro sistemi di trasporto pubblico con esiti più che positivi tra la popolazione. Farlo non è impossibile e Trieste ha tutte le ragioni per offrire ai suoi cittadini il diritto di muoversi in modo più pulito ed efficace, andando oltre il banale utilizzo dell’autobus. Che cosa si sta aspettando?

di Simone Sorgiovanni

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