Zdenek Zeman

Martedì 24 gennaio, ospite del Trieste Film Festival, Zdenek Zeman ha presentato il suo libro autobiografico “La bellezza non ha prezzo”. Con lui il vicedirettore della Gazzetta Dello Sport Andrea di Caro, che ha partecipato alla stesura del libro. La sua visita a Trieste era dovuta anche alla consegna dell’Eastern Star Award, consegnatogli la sera stessa al Rossetti, che vanta tra i suoi precedenti vincitori anche Michail Gorbaciov. L’inizio della presentazione si è svolto in un’atmosfera molto serena, con alcune battute dell’allenatore boemo (“Una volta noi e Trieste eravamo parte di un unico regno l’Impero Austro-Ungarico”; “Non ho mai allenato la Triestina, ma ogni volta che venivo qui vincevo”). Ha parlato inoltre del suo legame familiare con Trieste, svelando che la bisnonna nacque proprio qui circa a metà dell’Ottocento. Dunque si è passati a parlare del libro, diviso in due tempi: la prima parte della sua vita in Cecoslovacchia (dal 1947 al 1969) e la seconda in Italia. Nel 1966 venne per la prima volta nel nostro paese, ospite dello zio, Cestmir Vycpalek, giocatore e poi grande allenatore della Juventus. Nel 1968, durante la Primavera di Praga, era qui e decise di restare qualche mese aspettando che la situazione si calmasse, per poi tornare a fine anno e concludere gli studi all’Università dello sport. L’ultimo contatto con la Cecoslovacchia, fino alla caduta del Muro nel 1989, lo ebbe il 30 giugno 1969, giorno in cui partì per l’Italia, e la mattina successiva furono chiuse definitivamente le frontiere. In Sicilia cominciò dunque la sua carriera da allenatore, inizialmente in vari sport, ma ovviamente lo sport principale (giocato e allenato in quel periodo) era il calcio. Infatti di lì a qualche anno cominciò ad allenare le giovanili del Palermo, con i suoi punti fermi che costituiranno un motivo di venerazione per gli amanti di questo sport: schema fisso 4-3-3, gioco veloce con verticalizzazioni e il suo metodo di allenamento, che consiste nel lavorare sul fisico più che sul pallone, dovuto anche alla sua competenza nella preparazione atletica. Parlando della sua lunga carriera Zeman definì il Licata (società all’epoca in serie C2) la miglior squadra mai allenata per il gioco espresso, ma l’apice del suo percorso lo ebbe al Foggia (allenato tra il 1989 e il 1994), che fece diventare una seria contendente nella qualificazione alle competizioni europee. Dopo gli anni pugliesi ci furono le grandi occasioni per raggiungere lo scudetto, che però gli sfuggì sempre, prima alla Lazio e poi alla Roma, dove incontrò Totti, che ha definito “il più forte giocatore mai allenato”. In questi anni ci fu lo spartiacque della carriera di Zeman: alla domanda ”cosa non le piace del calcio italiano?” rispose “vorrei che uscisse dalla farmacie e dagli uffici finanziari e torni ad essere un gioco”. Da quel momento divenne una figura sovversiva del panorama calcistico, anche se alla luce degli ultimi avvenimenti (la morte di Vialli e di molti altri ex-calciatori, le testimonianze di un uso esagerato di farmaci per migliorare le prestazioni e le indagini sui bilanci truccati di molti club italiani ed europei) non è difficile pensare che lui ci aveva visto lungo. Dopo queste esperienze, tra vittorie e sconfitte, risaltano gli anni al Lecce, al Pescara e il breve ritorno alla Roma. L’allenatore boemo ha concluso l’evento con alcune frasi emblematiche, che evidenziano la sua visione quasi romantica dello sport e del calcio. Alcune sono: “il calcio è un gioco, e bisogna giocarlo per la gente, che deve divertirsi, che si vinca o che si perda”; “la passione non passa, l'allenatore non deve correre o calciare, deve pensare, guidare e capire il calcio, e io sono ancora in grado”; “essere della gente vale più di 100 scudetti”. Soprattutto quest’ultima dimostra un fatto incredibile: i tifosi delle varie squadre erano più zemaniani che romanisti, laziali, leccesi o pescaresi, e questo non può che essere un grande merito di quest’uomo.

di Filippo Ardone

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